La criminalizzazione dell’opposizione sociale, la sua condanna penale, l’uso delle forze di polizia contro di essa sono ormai parte integrante della logica di chi HA e degli amministratori che ne rappresentano gli interessi. Firenze, la “città aperta”, non solo non fa eccezione, ma è diventata un “modello” del delirio di sicurezza che accomuna destra e sinistra. La lotta alla povertà è diventata vera e propria “guerra ai poveri” come dimostrano le ordinanze contro i lavavetri, i patti per la sicurezza, il mini-scandalo sulla “gladio” della sceriffo Cioni. La campagna mediatica sul “degrado” è diventata vera e propria “guerra psicologica” che si trasforma in razzismo e xenofobia come dimostrano l’accanimento poliziesco contro le occupazioni abitative e i senza tetto, il rifiuto nel concedere residenze e piena cittadinanza ai molti stranieri, la sottrazione e il controllo di spazi di libera socialità.
Firenze, una città come tante, quindi, dove il controllo, l’esclusione e quando serve espulsione e reclusione sono affidati a vigili urbani, polizia, carabinieri, vigili privati, poliziotti di quartiere. Una città, come tante, dove aumentano precar*, senza reddito, senza casa, senza cittadinanza che si vorrebbe restassero anche senza voce e se la voce “sfugge” non manca la Giustizia, quella “uguale per tutti”, che, proprio come certi inutili arbitri condanna “in basso” e assolve “in alto”.
Una città che ha visto, nel suo piccolo, un’enorme condanna tutta “made in Florence”.7 anni di carcere per “resistenza pluriaggravata” ai 13 imputati che manifestarono, il 13 maggio ‘99 con lo sciopero del sindacalismo di base, contro la partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato in ex-jugoslavia.
Sette anni per aver preso, sotto il consolato USA, un sacco di legnate resistendo a mani nude. Sette anni a conferma che nella società contemporanea non c’è più misura. Nello sfruttamento come nelle sentenze dei tribunali.
Una Firenze “per molti…”, in mano ai privati: proprietari immobliari, agenzie, banche, imprese, grandi marchi.
“…ma non per tutti” e che processa, a ciclo continuo, chi rivendica dal basso il diritto di cambiarla. Come gruppo di occupanti, all’interno dei movimenti, viviamo di fatto in un “processo permanente” che ci sembra arrivato il momento di “prendere a calci”.