Mi ha sempre affascinato il giornalismo sportivo, soprattutto quegli articolisti che al pari di cantautori italiani, sono riusciti ad usare il calcio come una lente focale con cui decifrare la realtà. Come se quei geroglifici che disegna il pallone durante una partita, fossero il codice sorgente di un algoritmo complesso, la vita. Il calcio è una lente che puoi usare per guardare dentro un caleidoscopio. Puoi leggerci il fallimento di quella stretta di mano che sancì la nascita dell’Italia, tra Cavour e il sanguinario Garibaldi. Troppo sangue celava quella stretta, quello dei contadini anarchici di Bronte e dei briganti del sud Italia, massacrati dai garibaldini guidati da Nino Bixio. Una stretta di mano che ha fatto l’Italia ma non gli italiani. Lo spettro di questo fallimento non sta nelle spinte xenofobe e secessioniste di Bossi ma nel calcio di rigore sbagliato a Manchester da De Rossi; incredibile e inconcepibile errore per un giocatore come lui che nella finale dei mondiali di Germania batté un rigore ineccepibile con una freddezza che non lasciava trasparire alcuna emozione. A Manchester, De Rossi aveva la faccia tesissima andando a piazzare il rigore della speranza, accarezzava la palla come per tranquillizzarla, come per non inimicarsela. La verità è che Daniele de Rossi si sente più romano che italiano e il colore di quella maglia giallo-rossa lo ha indubbiamente accecato di più di quella maglia azzurro e oro di una nazionale costruita tutta dentro i media. Nel calcio puoi leggerci l’organigramma del potere del capitalismo nostrano, il ricatto dei presidenti delle squadre sui comuni e le regioni, che attraverso la minaccia di lasciare l’onere presidenziale, ottengono concessioni e appalti, per costruire nuovi inceneritori, nuove discariche, nuove alienazioni.
Il calcio lo puoi leggere anche attraverso il fenomeno ultras e il dilagare delle curve di estrema destra. Le curve rappresentano dai primi anni novanta la palestra dove i fascisti iniziano lentamente ad uscire dalle fogne, a trovare un settore sociale dove essere di nuovo sdoganati, dove il qualunquismo del tifoso medio, istruito solo dalle trasmissioni sportive, concede il passo alle derive xenofobe e razziste, che si coagulano in un certo immaginario ultras . Gli scontri di queste tifoserie con gli sbirri, sono la palestra su cui esercitare quella violenza che da qualche anno a questa parte si sta riversando nelle strade con centinaia di aggressioni comminate ai danni di immigrati, militanti di centri sociali, gay o semplici persone con abbigliamento alternativo. Puoi leggerci lo squallore dell’uomo medio che sublima le sue frustrazioni con le settimane che passano all’insegna del calcio, che spera che suo figlio (rigorosamente maschio) diventi un campione del futuro e lo costringe a giocare al calcio ignorando le sue reali attitudini e i suoi desideri, che magari lo porterebbero verso la danza, o verso se stesso. Puoi vederci il modello mortifero del calciatore ignorante, ma modello vincente della società, attorniato da veline e macchine di lusso, fisico scolpito e faccia lampadata. Quel modello al quale si immolano centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze costruendo il più grande monumento al fallimento della storia dell’umanità, una vergogna che purtroppo consegneremo ai nostri posteri. Ma il calcio è anche una semplice attività ludica, quella con cui siamo cresciuti in mezzo alle strade, quando ancora la paura e il delirio sicurezza non le avevano svuotate, non solo dai bambini, ma da tutti tranne che dalla polizia. Quel pallone che urta le serrande dei garage e che richiamava le ire degli anziani, era il semplice simbolo di una città a misura di bambino non chiacchierata ma reale , quel rimbalzare senza regole che orchestrava il ritmo di uno spazio pubblico ancora esistente. Colpisce ancora oggi il potere del calcio nelle immagini dei bambini di Napoli che giocano fraternamente con i bambini rom in squadre miste e che non riescono a spiegarsi la ragione di così tanto odio che gli adulti mostrano per questa gente. Il bambino ROM quando tira insieme a te dei calci al pallone è un compagno di squadra e non un delinquente. Calci dal basso vuole essere questo, il tentativo di risvegliare quel rumore del Super tele che sbatte contro porte e garage, che fa fermare le macchine quando scivola in mezzo alla strada, quel calcio giocato senza arbitri e competizioni ma con semplice e vitale spirito agonistico.